QOHELET, non è solo un disco, ma a mio avviso un opera teatrale. Un disco che non ammicca a nessun mercato, che necessita d’essere ascoltato non in sala da pranzo, ma nel silenzio e al buio.
Ceronetti era illuminato, la sua traduzione alla quale abbiamo attinto è semplicemente assoluta. Alessandro Seravalle, ha vestito di musica atmosfere e pathos, parole eterne e poetiche esternazioni.
Io con la voce mi sono accoccolato tra suoni e versi, con melodie suoni mantrici e recitazione sospesa.
Non a caso il Qohelet è amato da filosofi d’ogni tempo i quali tutti hanno attinto ad un messaggio per nulla religioso ma profondamente mistico.
Io e Alessandro ancora non ci siamo incontrati fisicamente, ma le nostre menti hanno amoreggiato culturalmente, lui mi mandava le basi musicali ed io le riempivo, così è nato il disco. Volutamente distaccato fisicamente, ma avvinghiato intimamente.
Esiste un “oltre” che unisce gli artisti dell’anima, in questo oltre che traspare nell’opera, ci sono io, Alessandro, Ceronetti, Loris Furlan, Nicola Vacca, con il suo pensiero e Qohelet!
(Gianni Venturi)
“Un dettato musicale lacerante si combina con i testi squartanti che divorano le parole nel momento in cui esse sono pronunciate. Un disco che è un esperimento di rottura dell’assurdo dell’esistere e l’assurdo dell’esistere è un tema fondante delle parole di Qohelet. Una meravigliosa esperienza poetico musicale destinata non a lasciare un segno ma a tracciare un solco di sangue nelle parole che sprechiamo. Questo vostro e nostro Qohelet apre uno sguardo ancor più disincantato sul nostro inferno dei viventi” (Nicola Vacca)