LIZARD
Intervista a Loris Furlan a cura di Athos Enrile per Athos di MAT2020 (www.mat2020.com)
Lizard esiste da quindici anni. Mi racconti la sua evoluzione? E’ cambiato nel tempo il tuo modo di proporre musica?
Inevitabilmente agli inizi c’è sempre una certa dose di entusiasmo misto ad incoscienza. Non chiamiamola ingenuità, tuttavia si affronta un mondo, quello discografico di nicchia, con l’amore per il disco e l’ebbrezza dell’avventura. In fondo quel presupposto avventuroso non è mai venuto a mancare, è tuttora integro: la voglia della scoperta, la ricerca, il forte senso di condivisione. Semmai è il solco dell’esperienza a spostare l’ago della bussola, annettendo un piglio più smaliziato. Del resto sono successe molte cose dai primi anni 90 ad oggi. Ora si deve convivere con downloading e masterizzatori agguerriti, ma soprattutto con una diversa concezione della ricerca e della fruizione della musica. In fondo per la Lizard non c’è mai stato il fine del guadagno, e dunque non si è sofferto drammaticamente tale evoluzione. L’amore per certa “altra” musica e il disco o cd è ancora vivo, nella sua fase cercare-scoprire-condividere-proporre. Se prima eravamo un po’ di più e ora siamo rimasti in pochi non si sta così male, finchè c’è un senso artistico ed emozionale. E per certi versi quando si è in pochi si rafforza una dimensione di scambio tra proposta e utenza più univoca ed amicale. Se invece mi chiedi del percorso della lucertola in termini strettamente musicali, potrei sintetizzare il concetto che la musica, in quanto scelta a pelle, emozionale, e non nell’ottica prioritaria del consumo, viaggia in simbiosi con l’evoluzione personale più intima. Un’evoluzione che piano piano, inconsapevolmente, è scivolata dal progressive più consolidato verso tanta psichedelia di diversa estrazione e propaggini avant-prog. Ho ideato nel tempo delle side-labels per cogliere istanze più specifiche e differenziate, come “La Luna e i Falò” per ambiti cantautoriali un po’ folkish, la “Zeit Interference” per estremità avanguardistiche-ambientali, e “La Locanda del vento” a ricondurre un po’ agli amori antichi del progressive tipicamente italiano che sapeva raccontare storie con uno spirito un po’ autoctono, prima di ubriacarsi di tempi dispari, derive anglofone e sovraesposizioni tecnicistiche. Con circa un’ottantina di produzioni dovrei aprire un vasto libro, ricco di capitoli spesso molto diversi tra loro. Già la convivenza delle diversità, una questione mica da poco, un filo conduttore un po’ filosofico spirituale che anima la Lizard da sempre.
Da quel poco che ho capito della tua etichetta, ciò che conta è la proposta di qualità e la voglia di condivisione. Come si riesce a sopravvivere, musicalmente parlando? Ci si indirizza verso nicchie specifiche e conosciute?
In verità non ho mai cercato con attenzione delle nicchie specifiche. Si è sempre fatto con molta passione ed istintività, e poi ti accorgi che sono le nicchie che ti vengono incontro, anche se non le hai mirate a priori. Spesso abbiamo prodotto con entusiasmo dei dischi che poi hanno venduto pochissimo, consapevoli da subito, ma non per questo perderanno mai il loro valore intrinseco. E’ sempre il percorso che conta, che arricchisce, che propone nuovi orizzonti. Poi è chiaro che quando realizzi che un disco di matrice progressive sinfonico-settantiana vende un po’ di copie in più del solito, e ti va a recuperare le spese e qualcosina in più, allora si sa riconoscere un target, un’utenza un po’ più florida. E diventa buon ossigeno per la nostra attività. Il punto di partenza è la musica nel suo ideale di libertà di espressione e creatività, e già questo concetto in sé stride con il doversi collocare in nicchie codificate da modelli, stereotipi e convenzioni. Diciamo che con la Lizard non si perde mai di vista quello spirito di libertà, senza condizionamenti, poi si cerca di coniugarli con qualche situazione più riconoscibile e fruibile. Nello specifico la Lizard è un po’ conosciuta come etichetta progressive “aperta”, dunque aperta a ricerca, sperimentazione, commistioni sonore. E’ una definizione un po’ semplicistica, più complessa da raccontare, ma sommariamente può rappresentare un manifesto di riconoscibilità. La sopravvivenza oggi per un’etichetta e per certa musica, per quel che mi riguarda, è figlia di uno scenario nuovo, importante ed imprescindibile: non si campa più vendendo dischi, col produttore da una parte e i musicisti dall’altra che firmano contratti stravaganti, capestri o altro. Oggi si può sopravvivere dignitosamente se si sa mettere assieme le due esperienze in modo costruttivo, come un valore aggiunto e sinergico. Alla Lizard non esistono contratti, bensì fiducia e collaborazione. Questa è la nuova frontiera per la sopravvivenza della musica underground. Se poi qualche musicista si nutre ancora di sogni di gloria ed ambizioni da star embrionale, si rivolga pure altrove. Ci sono tanti gatti e volpe fuori della porta ad attendere.
Come si conduce una piccola etichetta discografica? C’è un gruppo li lavoro alla base o e tutto sulle spalle di un’unica mente, la tua?
E’ difficile dare continuità ad un gruppo di lavoro. In tutti questi anni ci sono stati dei compagni di avventure, collaborazioni di passaggio, ma una piccola etichetta discografica riflette quasi sempre una singola specifica personalità, ed è indubbio che io sia stato ideatore e filo conduttore persistente, nel tenere in vita l’attività, contatti, relazioni, tessere nuove trame, semplicemente lavorarci, dedicando del tempo “rubato” alla propria quotidianità, ore notturne incluse.Tuttavia non posso non citare un certo sostegno collaborativo di Nicola Pivato, presente quasi dagli inizi, certi aiuti sul fronte grafico da parte di amici come Egidio Marullo (Aria Palea), Nunzio Cordella, Roberto Menegon, Andrea Albanese (Nema Niko) e i collaboratori lontani (ma vicini per spirito e attitudine) come Samuele Santanna (Raven Sad) e Luca Vicenzi (Zita Ensemble e Orchestra Panica). C’è pure la mia gentil signora Fiorella Val a darmi una mano preziosa, ad esempio con le tediose pratiche Siae e pacchi da spedire. Non siamo esattamente una macchina da guerra, ma già non è poco non sertirsi soli. E in tal senso dovrei citare una serie di nomi di amici che da anni ci seguono e sostengono, un elenco stratificato nel tempo, nemmeno tanto breve.
Che cosa ti induce a credere in un nuovo artista che ti porta un demo? Che caratteristiche musicali ti colpiscono di una band o di un musicista che non conosci?
Tutto può avere inizio da quella scintilla che di solito scaturisce magicamente anche ad un primo ascolto. Spesso figlia di una particolare magia creativa, quell’estro che sa distinguersi dalle convenzioni, dalle mode, dalla mediocrità. Poi naturalmente subentrano altre riflessioni in prospettiva, si mettono a fuoco musica e musicisti, per capire se c’è il medesimo amore per un viaggio senza compromessi, senza lusinghe di successo. Dunque talento, personalità,originalità, slancio creativo, coniugati a consapevolezza, realismo, umiltà. Da anni mi accorgo che sono attratto spontaneamente da situazioni strumentali, spesso immaginifiche, che sanno far viaggiare la mente senza la retorica incombente della parola, oltre le emulazioni anglo-americane (credimi, ci sono un sacco di gruppi particolarmente interessanti in Paesi come il Cile, l’Argentina, il Messico o l’Est europeo in genere). Un fatto spontaneo, anche curioso sapendo quanto sia affezionato alla poesia e alla letteratura in genere (tra le varie esperienze mi è capitato di mettere a disposizione qualche mio testo ai Nema Niko e a Davide Camerin, ma sono state situazioni estemporanee).
Mi ha colpito lo stupore di un intervistato che lavora con la tua etichetta che mi ha detto:” Furlan ci lascia lavorare in tutta tranquillità, senza mai interferire”. Che tipo di rapporto hai con chi produci?
Trovo imprescindibile che il musicista operi in un contesto totalmente libero, privo di pressioni e condizionamenti non solo da parte mia, ma anche legati a possibili calcoli ed ammiccamenti per poter piacere e vendere qualche disco in più nella logica dello stereotipo fruibile. Poi sappiamo che “la libertà è partecipazione”, gli slanci sono anche miei, da mettere insieme a volte su un comune tavolo di lavoro, magari l’aggiunta di un sax o di un violoncello, ed è entusiasmante essere anche propositivi (senza mai sovrapporsi al musicista) e veder crescere un progetto. Allora capita, spesso, che sussistano rapporti di totale fiducia, come con gli Airportman che di tanto in tanto mi dicono di avere un master pronto (di solito registrano in sessioni live notturne), e me lo passano già definitivo, senza che abbia ascoltato praticamente nulla prima. Oppure succede di imbattermi in un gruppo di bravi giovanotti toscani, peraltro umili e gentili, come i Labirinto di Specchi, di apprezzare la loro musica, al punto da farmela immaginare con delle parti recitate da Paolo Carelli dei vecchi straordinari Pholas Dactylus. Allora puoi immaginare la soddisfazione e la magia quando l’incontro e l’alchimia avvengono davvero e a breve uscirà il loro debutto discografico col ritorno della voce di Carelli, se mi consenti lo spot, intitolato “Hanblecheya”. Spesso i musicisti si confrontano con me, si dialoga appassionatamente della loro musica e dintorni, ma ripeto, amo la spontaneità e la libertà espressiva, se sposo e sostengo il loro progetto mi vanno circa bene come sono, senza astute mire espansionistiche, anche se ci fosse del margine di maturazione, che deve avvenire coscientemente, non per mia forzatura.
Come potresti spiegare, in sintesi, il cambiamento avvenuto nel mondo del business musicale, da quando ti occupi di musica?
Diciamo che, con l’avvento del cd, poi masterizzabile da chiunque, e del veicolare della musica in internet, c’è stato un progressivo sgretolamento di certezze, di punti di riferimento e di numeri accettabili per il mondo underground che ci riguarda, ma anche per le majors. Per questo il business musicale, di cui non abbiamo mai fatto parte, si è spostato soprattutto verso i concerti e lo sfruttamento d’immagine. Tutto si è ridimensionato (c’è da dire che i prezzi ne avevano pure un po’ bisogno), e le indie-labels sopravvivono perlopiù per passione e amore per la musica, cercando di mantenere in vita l’oggetto vinile o cd originale. Un tempo la musica era anche la meraviglia di una copertina, era qualcosa da leggere e da ascoltare. Non c’era nulla di sbagliato nel concepirlo come un libro, e non un virtuale mp3 usa e getta. Una casa piena di libri e dischi è già un fatto meraviglioso, è una questione culturale, al di là del collezionismo. Allora credo che involontariamente, senza dichiarare guerra a nessuno, etichette come la nostra rappresentano degli avamposti di resistenza, che per fortuna qualcuno sa ancora apprezzare e condividere.
Sempre riferito alla musica, hai qualche rimpianto per un treno che è passato e non hai preso per eccessiva cautela?
Direi di no, anzi di solito quando mi sono fatto prendere la mano per qualche disco che mi piaceva particolarmente, sostenendolo senza mezze misure, ci abbiamo sempre rimesso. Artisticamente qualcosa di ragguardevole mi sarà pure scappato, ma di rimpianti nessuno. La faccenda è peraltro complessa: posso scoprire un talento straordinario e pubblicarne il disco, ma non farebbe la differenza. Avrebbe bisogno di grande promozione, e non è una nostra prerogativa. Ricordo ad esempio i contatti avuti agli inizi con gli Scisma (ci sarebbe sempre la loro primissima registrazione di circa 15 anni fa, pubblicabile se l’amico Paolo Benvegnù la ritrovasse fra il suo marasma iperattivo), con i Giardini di Mirò, con Le Luci della Centrale Elettrica. Di recente eravamo vicini ad un bel progetto con Pat Mastelotto. Ma mi capita di pensare, sorridendone con un po’ di ironia, che se li avessimo prodotti con la Lizard avremmo precluso loro la carriera (relativa) che hanno avuto poi.
Se avessi un cifra illimitata da investire nella Lizard, quali sono le prime tre cose che faresti?
Mah…una domanda come questa mi coglie molto impreparato. Tuttavia provo a fare uno sforzo d’immaginazione: vinco svariati milioni con la lotteria, finalmente smetto di lavorare (il lavoro della pagnotta, che non è nella musica), costruisco in zona campagna un bell’auditorium, non troppo grande, roba da 200-300 posti, un po’ una Lizard Knitting Factory del profondo Veneto, e organizzo dei concerti tutte le settimane, coi gruppi Lizard e altri della scena italiana spesso dispersi nella terra di nessuno, ma anche Godspeed Y.B.E.,Sigur Ros, Crippled Black Phoenix, Magma, Univers Zero, Present, Minimum Vital, Van Der Graaf, Jethro Tull, Gong, Hawkwind, Kwoon, After Crying (solo se tornano a cantare in ungherese) e tanti altri. Organizziamo un festival internazionale di “rock in opposition”, pensa un po’, in zona leghista. Proviamo a riaccendere la ritualità del rock, quella che fu tra il finire dei 60 e la prima metà dei 70 con Grateful Dead, Doors, Tangerine Dream e tanto kraut-rock, magari una bella jam-session con Mariposa e Gong, a dispetto di tanta banalità concertistica odierna con la sua preponderante e stucchevole concezione della musica come spettacolo, intrattenimento e foraggio pagato lautamente dalle masse giovanili. Presentiamo dischi, libri, film. E naturalmente l’attività discografica diventerà ancor più florida, e potremmo permetterci di fare ad esempio un disco con Peter Gabriel o Peter Hammill con Robert Fripp coi Sigur Ros sullo sfondo. Ho esagerato?
Nella sfera lavorativa vedo enorme difficoltà nell’emergere da parte del mondo femminile, relegato sempre a categorie marginali. Cosa accade nel tuo ambiente? Che tipo di dinamiche muovono le relazioni tra musicisti di sesso opposto?
Ancora una volta vale il significato vero della parola libertà. Ho piacere di incontrare talvolta gruppi con presenze femminili e maschili assieme, li ritengo spesso dotati di apertura, arricchiti di sensibilità diverse. Ma è pur vero che non accade frequentemente, e, se mi ci fai pensare, pur non avendo alcun preconcetto o predilezione specifica, i gruppi con elementi femminili nel nostro catalogo rappresenteranno non più del 5%. Penso sia una faccenda profondamente culturale: finchè si continua a disseminare mediaticamente modelli femminili sculettanti (vincenti?), sempre protesi a rifarsi il look per piacere… alla cultura macho maschile, non accade facilmente che una donna decida di suonare uno strumento con spirito interiormente creativo, senza mirare ad un ruolo, ancora mediatico, di pop-star. Ed è davvero un peccato perché la sensibilità e l’intelligenza femminile hanno in serbo potenzialità notevoli che potrebbero dare un apporto straordinario allo scenario musicale più autentico. Dalle sponde Lizard cito delle situazioni persino entusiasmanti: i bravissimi Floating State con due sesti femminili (batteria e sax) e gli altrettanto notevoli Flora (voce e sax) e Bededeum (arpa e voce). Inoltre approfitterei per menzionare la vittoria della giovane, talentuosa Simona Gretchen del Premio Fuori del Mucchio (vi ho contribuito in quanto giornalista saltuario al Mucchio). Segnali incoraggianti, forse sempre meno isolati, nonostante l’imperversare volgare e deprimente di veline ed escort.
Come ti immagini, realisticamente parlando, la Lizard nel 2020?
Una domanda problematica per chi opera sostanzialmente alla giornata o giù di lì. Suppongo che la Lizard potrebbe dare un senso migliore alla mia vecchiaia. Ma poiché nel 2020 non sarò ancora da pensione mi toccherebbe tener duro, e sperare possa essere ancora una dimensione musicale stimolante ed accogliente. La Lizard è in fondo un modo di essere. Difficilmente potrò affezionarmi al proporre e vendere in via virtuale-digitale, dunque confido nella già menzionata resistenza del cd, magari del vinile o di chissà quale supporto degno dei suoi predecessori, auspicandomi sempre realmente vivo e curioso nello scoprire qualcosa di nuovo da tramutare in un altro scrigno prezioso di note, suoni ed emozioni. Se invece fare dischi non avrà più senso realistico (e la prospettiva pare questa, con qualche residua riserva underground), nel 2020 la Lizard sarà forse qualcos’altro, raccogliendo e deviando l’energia ancora disponibile verso altre situazioni propositive e organizzative in ambito musica e dintorni. Almeno la musica non ce la toglierà nessuno, nemmeno le aggressive strategie di mercato (“quell’assalto di tecnologia ci ha sconvolto la vita”, cantava Gaber poco prima di andarsene) che vorrebbero appiattire l’individuo in un consumatore spersonalizzato e senza vera facoltà di scelta.
LORIS FURLAN
Il disco come uno scrigno magico.
In esclusiva l’intervista al produttore Loris Furlan che ci parla dell’etichetta Lizard Records e della sua perenne fame di musica.
1. Chi è Loris Furlan?
Potrei risponderti in tanti modi, ma volendo contestualizzare la mia persona e Lizard Records il ritratto forse migliore è quello di un ragazzino che comprava dischi negli anni 70 quando aveva 12-14 anni, di nascosto dai genitori perché ritenevano fossero soldi buttati, pensando tuttavia che sarebbe stata un’infatuazione giovanile, passeggera. Invece, anche adesso, passati i 50, continuo a “nutrirmi” di musica, di dischi, con lo stupore di quel ragazzino che ancora ama ancora scoprire nuove storie musicali. Solo che adesso ho anche il piacere di provocarne di mio, di proporle e di condividerle. Per inciso: non è detto che i miei genitori, in particolare mia madre, dalla loro prospettiva fossero in torto. Ma evidentemente quando si ha una certa propensione, non la si può negare. Sarebbe come negare sé stessi, e non sarebbe nemmeno salutare.
2. Perché hai scelto la professione di produttore discografico?
In verità l’attività della Lizard è dentro il contenitore formale di un’associazione culturale, dunque non una professione. E del resto in zona underground non campa di musica quasi nessuno. Si fa per passione, per amore di certa musica. La musica è un linguaggio universale, che può arrivare ed emozionare ovunque e chiunque, superando barriere e pregiudizi. Mi ha sempre affascinato l’idea di un disco, vinile, CD o altro (con una certa riserva sul viatico digitale, che pure aiuta a divulgare) come di uno scrigno magico, sin dalla copertina, ma ancor più, ovviamente, dal contenuto sonoro, capace di scaturire un mondo di emozioni. E questa idea è rimasta, anzi consolidata, nel tempo.
3. Quando è nata la Lizard Records e perché hai questa linea editoriale?
Il marchio Lizard Records è nato nel 1996, come side-label di Pick Up Records, negozio ed etichetta di Bassano con cui avevo cominciato a collaborare pochi anni prima. Poiché si trattava di una linea editoriale legata strettamente alle mie scelte e che finiva per stridere con determinate esigenze commerciali, nel 1998 è diventato una label autonoma, con una propria identità, volta a valorizzare intrinsecamente la creatività più autentica, la ricerca, la sperimentazione. Ripeto: in definitiva è un modo di essere, che verrebbe fortemente condizionato nel momento in cui ci si deve piegare a dei compromessi. Ciò non significa non essere consapevoli di quale musica possa possedere una maggiore fruibilità rispetto a quel che ha una natura radicalmente di nicchia. Ma l’autenticità, l’amore per certa musica “altra”, sono da sempre elementi fondamentali nel contraddistinguere il percorso della Lizard
4. Dove sorgono i tuoi gusti musicali?
Quando mi chiedono della Lizard mi è solito parlare metaforicamente dei tanti viaggi, dei tanti incontri, continua fonte di conoscenza e di arricchimento. In questo senso la musica è stata, ed è tuttora, un grande, fantastico laboratorio, che mi ha consentito di ampliare i miei orizzonti, praticamente senza delimitazioni. Poi è naturale avere un certo background, che nel mio caso è transitato dal’hard-rock degli anni ’70 al metal degli ’80, e poi, in divenire, al progressive, alla psichedelia, alla canzone d’autore, ad una certa avanguardia e sperimentazione, dalla contaminazioni jazz-rock, al post-rock, e altro ancora. E forse la mia emozione più grande scaturisce ancora quando mi imbatto in qualcosa di trasversale, che non sia figlio prettamente derivativo di un genere o di certi clichè.
5. Come ti poni sul mercato discografico?
Come già spiegato precedentemente, il mercato non è per me una priorità. Quando scocca una scintilla speciale per un determinato progetto, il mercato non entra affatto nei mie pensieri. Ma so al contempo quando un disco può avere un certo appeal rispetto a quello che troverà inevitabilmente delle maggiori difficoltà. Del resto ormai si vende poco anche di ciò che è più mainstream, per le ragioni ormai note. Alla Lizard basta vendicchiare per poter galleggiare e sopravvivere. Il nostro compito è produrre e proporre dischi con intento sostanzialmente promozionale, scambiando anche con etichette argentine (grazie all’amico musicista Aldo Pinelli da Buenos Aires), brasiliane, messicane, russe e svedesi: pochi numeri, ma la soddisfazione di far arrivare fisicamente i nostri dischi nel mondo. Poi ci pensano i nostri distributori, i vari BTF, Pick Up. GT Music, MaRaCash e l’americana Syn-Phonic a farli muovere. Pochi numeri anche lì, ma la gioia dei “nostri gruppi” di vedere il loro disco in vendita in un noto negozio giapponese è già impagabile. Per loro e per la nostra condivisione,
6. Che cosa ha di difficile un’etichetta indipendente?
Quel che è difficile e faticoso preferirei lasciarlo da parte. Vorrei sempre poter tenere in vita l’aspetto emozionale e giocoso della nostra attività. Ma imprescindibilmente c’è anche qualche fardello da portarsi appresso, il tanto tempo dedicato, tener vivi i tanti contatti con gruppi, riviste, fanzine, radio. Tutto molto stimolante, ma anche impegnativo. E’ difficile organizzare anche dei piccoli concerti per le ristrettezze primariamente culturali che conosciamo. Ma sono altre piccole sfide che possono darti in cambio delle soddisfazioni. Meno divertente è la parte amministrativa, necessaria per modesta che sia, A riguardo vorrei menzionare chi mi aiuta preziosamente: Fiorella Val (mia moglie) che si occupa soprattutto di spedizioni e della logistica in genere, Nunzio Cordella (gestore del Lizard Facebook e di certe dinamiche promozionali), Roberto Menegon ed Egidio Marullo, nostri grafici di fiducia. Egidio è pure un pittore di notevole valenza artistica, che talvolta mette a disposizione delle sue opere per le copertine di nostri CD. Tutti aiuti importantissimi.
7. Hai altri interessi oltre la musica?
Quando si vive la musica a 360 gradi si innescano fisiologicamente altri interessi. Capita così di scoprire territori e culture diverse e uniche, com’è stato per il Salento, vissuto in qualche modo dal di dentro grazie all’amicizia nata con gli Aria Palea e altre realtà pugliesi. Così pure la Sicilia, grazie all’amicizia con Bruno Rubino dei Fiaba e altri ancora. Musica vuol dire anche poesia e letteratura, ad esempio il reading dei Nema Niko con cui ho condiviso alcuni miei scritti. Dunque anche teatro e cinema (a Tim Burton è stata dedicata la festa Lizard al Bloom di Mezzago nel 2011) non possono essere immuni da connessioni e interazioni, che da sempre fanno parte dei miei interessi. Del resto già rubo un bel po’ di ore alla notte per le faccende musicali davanti al pc, e non rimane molto dopo aver sottratto quelle del lavoro retribuito (che nulla ha a che spartire con la musica) e quelle dedicate alla famiglia.
8. Quali sono le tue più belle soddisfazioni professionali?
E’ difficile pensare a una sorta di graduatoria: al di là delle soddisfazioni “ufficiali” come quando la Lizard è stata premiata come “etichetta dell’anno” (nel 2007) da Progawards, i premi per i dischi di Spirosfera, Aria Palea, Tom Moto, Garden Wall, Nichelodeon, Lamanaif, ecc., preferisco mettere assieme tante piccole-grandi soddisfazioni: come aver avuto come ospiti alla festa Lizard musicisti come Ares Tavolazzi, Paolo Tofani, Walter Calloni, aver scovato e collaborato con un mito dell’underground dei seventies italiani come Paolo Carelli dei Pholas Dactylus, aver dato appoggio ai cileni Akineton Retard ed Exsimio nel loro tour italiano ed europeo, essere dal 1998 parte organizzativa della rassegna emiliana “Omaggio a Demetrio Stratos” ideata dall’amico Raffaello Regoli, che fu amico di Demetrio. Di recente stiamo raccogliendo delle belle soddisfazioni col disco “The Painkeeper” dei pisani Eveline’s Dust , con i bolognesi Feat.Esserelà che vincono concorsi un pò ovunque, con i lodigiani Sintonia Distorta premiati per il loro video. Ma sono tanti i momenti e le persone che vorrei menzionare e abbracciare idealmente, e finirei comunuque per dimenticare qualcuno.
9. Hai qualche pensiero da lasciare ai giovani che intraprendono la carriera di musicista?
Non è semplice poter rispondere a questa domanda, perché viviamo una realtà distorta, omologata, anestetizzata, sradicata dai valori primari del nostro essere. Paradossalmente oggi ci sono molti più musicisti di 20-30 anni fa, ci sono ovunque delle scuole di musica (è logica conseguenza nella grande era dei consumi), ma manca una vera cultura della musica, quella che dovrebbe dare una voce vera a urgenze creative ed espressive. Oggi si rincorrono quasi esclusivamente miti di celebrità e denaro, e questo non può che favorire il fenomeno delle cover-tribute-band, gli orribili talents, e musica per lo più scimmiottata o da popolar intrattenimento, che a volte può essere godibilissima e rispettabile, ma ormai ha estromesso inesorabilmente l’amore più profondo per la musica, il suo volto più viscerale ed artistico. Allora quel che vorrei dire a dei giovani che si approcciano come musicisti è di non cercare di essere qualcuno perché la musica non è competizione o arrivismo (che poi finisce per generare delusioni e frustrazioni), ma semplicemente di cercare sé stessi attraverso la musica che vorranno suonare, di sapersi emozionare nel modo più sincero. Se poi si tratterà di qualcosa di particolarmente originale (e si sa che non è una sfida facile, non da tutti) ben venga, se invece si tratterà di risuonare i Beatles ben venga lo stesso. Che sia fatto sempre con gioia e con amore. Non ultimo vorrei dire con decisione ai giovani musicisti: “ascoltate tanta musica diversa, siate curiosi, ascoltate anche gli altri gruppi, andate ai piccoli concerti underground, e non solo a farvi depredare dai grandi concerti che vedete (si fa per dire…) ammassati come pecore a costi esorbitanti. E’ fondamentale, anzi vitale, anche per voi stessi”.
10. Quali sono i progetti futuri della Lizard Records?
I progetti non mancano mai. Cimentarsi in nuove esperienze, nuove avventure fa parte dello spirito curioso e instabile della Lizard. In Gennaio pubblicheremo il secondo album a tinte prog-folk dei genovesi Ancient Veil, che di fatto sono gli autori del primo disco degli Eris Pluvia del 1991, apprezzatissimo in quel momento tra gli ’80 e i ’90 definito in qualche modo di rinascita del fenomeno progressive-rock. Sempre in Gennaio usciremo col primo disco dei fiorentini Nora Prentiis, notevole crocevia tra jazz-prog/post-rock. Entro Aprile pubblicheremo il nuovo disco dei trentini Supercanifradiciadespiaredosi, un trio di matti irrefrenabili dal groove travolgente. Vorrei citare anche il terzo disco, in cantiere, dei trevigiani Antilabè. Un concept davvero speciale, intitolato “Domus Venetkens”, ispirato alla storia antica del popolo veneto, arrivato a stabilirsi nelle nostre terre dopo un lungo tragitto. Ma più del popolo veneto, se posso usare leggerezza ed ironia, il viaggio della Lizard non diraderà le proprie escursioni verso altri approdi, verso nuove condivisioni, nuove scoperte, nuovi orizzonti.